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L’esperienza dell’altro come pericolo

Aggiornamento: 7 feb




Chiara Giubellini


Sicuramente percepire l’altro come nemico e/o pericolo ha, in alcuni casi, oggettivi riscontri: si pensi per esempio alle relazioni tossiche, alle varie notizie di cronaca nera dalle quali veniamo inondati ormai quotidianamente dai mezzi di comunicazione di massa; etc. In altri casi, il percepire l’altro come pericolo assume tratti persecutori non tanto giustificati su un piano di realtà esterna quanto piuttosto sulla base di strutture interne, come per esempio si può osservare in alcune tendenze collettive e in talune psicopatologie.

In un’intervista a Francesco Vettori (2015), Ricercatore presso l’Istituto Nazionale Documentazione, Innovazione, Ricerca Educativa (INDIRE), viene sottolineato come «la percezione del rischio e del pericolo sono atti eminentemente culturali, connotati socialmente». Tali osservazioni possono fornirci uno spiraglio sulla “duttilità” della percezione di pericolo, la cui origine non rimane pertanto strettamente confinata in possibili momenti critici e scarsamente risolti, incontrati in età evolutiva.

Negli anni di pandemia si è assistito ad un intensificarsi di tale percezione: l’altro da noi visto come potenziale portatore di malattia. Non stupisce quindi che le pandemie abbiano storicamente attivato stati regressivi negli individui ( Huremović 2019), andando così ad esacerbare preesistenti stati regressivi intrinsecamente correlati alla dinamica delle masse, come ben descritto da Freud nel 1921 (Freud 2004).

Potremmo sconfinare poi nell’ambito della clinica, dove troviamo numerosi altri esempi, come in casi di delirio persecutorio e stati paranoidei.

Ma qual è il filo comune a tutti questi innumerevoli esempi, in cui l’altro è percepito come una minaccia? Il modo in cui si sperimenta l’alterità non è forse un riflesso di come concepiamo l’identità? Esperire l’altro come nemico, pericolo, minaccia, porta con sè quei costrutti retorici implicanti che l’identità è sinonimo di purezza, continuità e unità (De Luca Picione 2022). Agli inizi del 900, la realtà sociopolitica europea era pervasa da totalitarismi che inneggiavano alla purezza razziale e all’identità ideologica.

Senza volere cadere in generalizzazioni, lo sforzo di cogliere nel modo in cui si percepisce l’identità una delle varie sfumature del processo di formazione di una visione ostile dell’altro, ci consente di porci non più la domanda “Come cambiare modo di vedere l’altro?” quanto piuttosto “Come concepire diversamente l’identità? Da quali biases inconsci siamo guidati?

Fintanto che sussiste inconsciamente una visione idealizzata di ciò che è identitario, l’alterità porterà con sé rifrazioni svalutanti di ciò che è stato idealizzato.


Bibliografia

-          De Luca Picione R, Marsico G. et al. 2022, Generalized Semiotic Functions of Borders’model. Contributions from cultural psychology, semiotics and psychoanalysis to-wards the understanding of borders in human experience, International Journal of Psychoanalysis and Education- SAS 2022, vol. II (2), pp.82-83. 

-          Freud,S. 2004, Mass Psychology and Other Writings, Penguin Classics https://amzn.to/4blSFUi

-          Huremović,D. 2019. The Psychiatry of Pandemics: a Mental Health Response to Infection outbreak, Springer Nature. https://amzn.to/3SQUIZw

-          Vettori F. 2015, Percezione del rischio e del pericolo”, in Approfondimenti www.indire.it/memorysafe/approfondimenti


(EN) The experience of the other as danger

Certainly perceiving the other as an enemy and/or danger has, in some cases, objective confirmation: think for example of toxic relationships, of the various crime news with which we are now inundated daily by the mass media; etc. In other cases, perceiving the other as a danger takes on persecutory traits that are not so much justified on an external reality level but rather on the basis of internal structures, as for example can be observed in some collective tendencies and in certain psychopathologies.

In an interview with Francesco Vettori (2015), Researcher at the National Institute for Documentation, Innovation, Educational Research (INDIRE), it is underlined that «the perception of risk and danger are eminently cultural acts, with social connotations». These observations can provide us with a glimpse into the "ductility" of the perception of danger, whose origin therefore does not remain strictly confined to possible critical and poorly resolved moments encountered in developmental age.

Over the years of the pandemic, we have witnessed an intensification of this perception: the other seen by us as a potential carrier of disease. It is therefore not surprising that pandemics have historically activated regressive states in individuals (Huremović 2019), thus exacerbating pre-existing regressive states intrinsically related to the dynamics of the masses, as well described by Freud in 1921 (Freud 2004).

We could then cross over into the clinical sphere, where we find numerous other examples, such as in cases of persecutory delirium and paranoid states.

But what is the common thread in all these countless examples, in which the other is perceived as a threat? Isn't the way we experience otherness a reflection of how we conceive identity? Experiencing the other as an enemy, danger, threat brings with it those rhetorical constructs implying that identity is synonymous with purity, continuity and unity (De Luca Picione 2022). At the beginning of the 20th century, European sociopolitical reality was pervaded by totalitarianisms that praised racial purity and ideological identity.

Without wanting to fall into generalizations, the effort to grasp one of the various nuances of the process of forming a hostile vision of the other in the way in which identity is perceived allows us to no longer ask ourselves the question "How to change the way of seeing 'other?" but rather “How to conceive identity differently? What unconscious biases are we guided by?

As long as an idealized vision of what is identity exists unconsciously, otherness will bring with it devaluing refractions of what has been idealized.

 

 

​(FR) L’Expérience de l'autre comme danger

Certes, percevoir l'autre comme un ennemi et/ou un danger a, dans certains cas, une confirmation objective : pensez par exemple aux relations toxiques, aux diverses informations criminelles dont nous sommes désormais inondés quotidiennement par les médias ; etc. Dans d’autres cas, la perception de l’autre comme un danger revêt des traits de persécution qui ne se justifient pas tant au niveau de la réalité externe mais plutôt sur la base de structures internes, comme on peut par exemple l’observer dans certaines tendances collectives et dans certaines psychopathologies.

Dans un entretien avec Francesco Vettori (2015), chercheur à l'Institut national de documentation, d'innovation et de recherche pédagogique (INDIRE), il est souligné que « la perception du risque et du danger sont des actes éminemment culturels, avec des connotations sociales ». Ces observations peuvent nous donner un aperçu de la « ductilité » de la perception du danger, dont l'origine ne reste donc pas strictement confinée aux éventuels moments critiques et mal résolus rencontrés dans l'âge du développement.

Dans les années de pandémie, nous avons assisté à une intensification de cette perception : l’autre vu par nous comme porteur potentiel de maladie. Il n’est donc pas surprenant que les pandémies aient historiquement activé des états régressifs chez les individus (Huremović 2019), exacerbant ainsi des états régressifs préexistants intrinsèquement liés à la dynamique des masses, bien décrits par Freud en 1921 (Freud 2004).

On pourrait ensuite passer au domaine clinique, où l'on trouve de nombreux autres exemples, comme dans les cas de délires de persécution et d'états paranoïaques.

Mais quel est le fil conducteur de tous ces innombrables exemples où l’autre est perçu comme une menace ? La façon dont nous vivons l’altérité n’est-elle pas le reflet de la façon dont nous concevons l’identité ? Vivre l’autre comme un ennemi, un danger, une menace entraîne ces constructions rhétoriques impliquant que l’identité est synonyme de pureté, de continuité et d’unité (De Luca Picione 2022). Au début du XXe siècle, la réalité sociopolitique européenne était imprégnée de totalitarismes qui prônaient la pureté raciale et l’identité idéologique.

« Autre? » mais plutôt « Comment concevoir l'identité autrement ? Par quels préjugés inconscients sommes-nous guidés ?

Tant qu’une vision idéalisée de ce qu’est l’identité existe inconsciemment, l’altérité entraînera des réfractions dévalorisantes de ce qui a été idéalisé.

 

 

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Chi sono? Da oltre 10 anni, sono un Medico Chirurgo, con ampia esperienza clinica acquisita in ambito psichiatrico istituzionale, sia in Italia che all'estero. Sono Psicoterapeuta qualificata, Analista Junghiana, Socio Analista del Centro Italiano di Psicologia Analitica e dell'International Association of Analytical Psychology. Mi occupo di: difficoltà nelle relazioni, depressione e altre variazioni dell'umore, disturbo di ansia, disturbi alimentari, problemi con lo studio e il lavoro, e perdita di significato nella propria esistenza. Conduco colloqui in lingua italiana e inglese, in persona e tramite modalità online. 

Metto a vostra disposizione il mio servizio nella zona di Roma nord-est (Ponte Mammolo/ Montesacro/Don Bosco/Tuscolano).

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